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HIGHWAY TO HELL

Abbiamo passato gli ultimi due giorni in viaggio, macinando chilometri dal mare alle montagne ai deserti. Siamo partiti con un tour della ricchezza sulla 17 mile drive, dove una volta c’era una vibrazione speciale ed oggi solo villone e campi da golf con vista oceano. Ecco, l’oceano. Enorme violento freddo affascinante caotico rumoroso attraente fragoroso. Lasciata la costa ci siamo fermati a dormire a Tulare, nel mezzo del nulla, in una stazione di servizio tra diners, pompe di benzina e motel da “camionisti in cerca di compagnia”. Ieri mattina siamo saliti a Sequoia per vederle, le sequoie. Due ore di tornanti e nebbia fottuta per arrivare, ma lo spettacolo vale lo sbattimento. Ha poco senso descriverle. Alcuni alberi hanno più di 3.200 anni di età. I rangers dicono che nessuno abbia mai visto una sequoia morire, ma che alcuni le abbiano sentite parlare. Elefante no dimentica. E quindi resti lì davanti a questi dinosauri ancora in vita, cerchi di fotografarli ma non entrano nell’inquadratura, fai le facce strane, ti misuri e ti senti irrimediabilmente piccolo. Poi ancora due ore di nebbia e tornanti per puntare verso la Death Valley, mentre già iniziava a scendere il buio. Abbiamo guidato per altre comode 6 ore su strade che sono così dritte “che sembra proprio di essere in America”. Il paesaggio cambia, la vegetazione sparisce, arriva il deserto, arriva il nulla. E ti caghi addosso mentre pensi all’omino della Hertz che ha fatto l’ultima revisione a sto carrettone che stai guidando e speri che sia un bravo omino, amante del suo lavoro come ogni americano medio. Qui i pensieri volano, la radio non prende, il telefono non prende, ti fidi solo del GPS e vai sempre fottutamente dritto. La Natura è roba seria da queste parti. Sia nella sua presenza, che (soprattutto) nella sua assenza. Grossa e violenta. Esige rispetto. Incute timore. You don’t mess with Nature… E dopo l’ultima montagna da 4.000 piedi inizia la discesa negli inferi, con le orecchie che si tappano e i freni che bruciano per arrivare sotto il livello del mare, nel posto più asciutto e desolato d’America, dove puoi solo sperare di non doverti fermare mai. E quando la speranza inizia a vacillare, all’improvviso, dopo quasi 12 ore in viaggio, appare in mezzo al deserto un Ranch. Finto che pare Gardaland ma è il posto più bello del mondo, in questo momento. Facce da giostrai, di gente che vive ai confini. Tutta questione di parametri credo, ai quali noi non potremo mai abituarci. Ora è mattina presto, usciamo da qui per vedere il nulla che ci circonda e poi, follia delle contraddizioni, in meno di due ore saremo nell’altro nulla, quello ricoperto da un ottimo impianto luci e da rumorosi effetti speciali: Las Vegas.

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