Loading...

blog

CHIAPAS IN DAL CÙ !!!

Che questo passaggio in Chiapas marcasse male lo dovevamo capire subito. Il giorno di Natale avevo (involontariamente) la Maglietta Sbagliata degli WHAM! e Costanza invece aveva la febbre (ora si può dire). Abbiamo quindi seguito un irrispettoso digiuno nel giorno dell’anno dedicato all’abbuffarsi e avremo forse offeso qualche divinità Maya dell’abbondanza e dell’obesità che ci ha puniti con la permanenza in un hotel demerda, a 3 km dal centro, una struttura vetusta e sporca, frequentata da locals molto rumorosi e come dice Cost “pieno di escoria-colica” che nella sua lingua vuol dire genericamente qualsiasi tipo di batteri. Ci siamo quindi addormentati guardando un classicissimo “Mamma ho ri-perso l’aereo” doppiato in spagnolo. Il piccolo e dolce Kevin solo alcuni anni dopo avrebbe capito che preferiva “la ero” all’aereo… (continua)

Il 26 ci siamo svegliati tardi e abbiamo fatto un lungo giro per il centro di San Cristobal. Molto simile al centro storico di Oaxaca ma più piccolo e ancora più bello. Quattro vie e una piazza centrale gremite di venditori ambulanti, per la maggior parte mamme-bambine con neonati appesi, vendono bracciali segnalibri ponpon sciarpe e qualsiasi tessile possibile. Negozietti di souvenir e vestiti, locali graziosi, comedores a cielo aperto, mercatini davanti ad ogni chiesa, così grandi ed affollati che per arrivare alla facciata della cattedrale ti perdi nei vicoletti stretti e pieni di banchi strapieni di roba in vendita (che prima o poi venderanno?). Ma soprattutto una serie di hotel coloniali pazzeschi, con cortili interni pieni di alberi, arredamenti in stile wes anderson che rendono la nostra permanenza nell’hotel urendo in cui siamo finiti ancora più insensata. Per pranzo finiamo per caso in ristorante con una corte piena di banani e per cena in un centro sociale zapatista, dove abbiamo mangiato la pizza e giuro che era buona.

image image

Andiamo a letto presto perché il giorno seguente ci aspetta una mega escursione a Palenque passando per Agua Azul. Sveglia alle 4. Pickup alle 5. Arriva Francisco, il nostro driver, con il suo pullmino Nissan da 14 posti. È molto prima dell’alba e fa un cazzo di freddo. Scrutiamo le facce dei nostri compagni di viaggio. Dormono già tutti. Si parte e Cost incredula mi guarda e dice “poi si cambia mezzo, vero?” Non credo, e infatti… Francisco parte e scanna come un disperato nel buio assoluto ed annebbiato della notte messicana, io mi metto più o meno comodo e tento di dormire, ma pochi minuti dopo Francisco inchioda di colpo per passare sopra un dosso. Piccola digressione riguardo le strade messicane: la condizione del manto stradale e la dimensione e della carreggiata sono pressoché simile ad ogni nostra strada di montagna, sì vabbè qualche buca, ma il vero problema è che le strade messicane sono piene di TOPE! Mignotte? No, dossi. Millioni di dossi, una serie di 4/5 ogni kilometro, dossi seri, alti, in cemento, di quelli che ti devi proprio fermare. E Francisco lo sa bene, quindi “inzacca il piede” più che può tra un dosso e l’altro. E poi si ferma, rimbalza e va avanti. Oltre alle tope, la strada è piena di curve. Quindi questo il tema del viaggio. Previste circa 6 ore a questo ritmo, accompagnati dalla meravigliosa playlist di Francisco che già dalle 5 di mattina ci delizia di successi messicani con suoni carletti e voci impostate, tipo un mix tra mazurca di raul casadei e i neomelodici ma molto peggio, alternati da versioni spagnole di Tizianone nostro, Pausini e Ramazzotti. La chicca vera è una versione spagnola con tanto di voce roca imitata di Everithing I Do di Brian Adams. CRISTO, MI DO FUOCO. La mia relazione con la musica latino-americana, già di per se complessa, viene messa a dura prova ed enfatizza ulteriormente le condizioni di viaggio precarie. Dopo un paio d’ore la prima sosta: desajuno. Lo stomaco non è felice, ma qualcosa va ingerito. Francisco quante curve mancano? Mille! Ok fammi volare. Il sole è già alto e il panorama pazzesco: natura verde grossa violenta fitta ovunque. Casette, capanne, dossi, bambini, venditori ambulanti, mucche, cavalli e maiali. Tutto molto bello ma il solo pensiero che tiene il manipolo in viaggio unito e sorridente è lo spettacolo che ci stiamo faticosamente guadagnando. Quando però all’improvviso si forma una coda, si rallenta e ci si ferma. Cinque minuti fermi. Francisco scende. Scendiamo tutti. La cosa è seria. La coda è lunga. Si cammina verso la testa per capire cosa sia successo. In coda quasi solo pullman, transfer come il nostro, qualche pick-up locale è un po’ di collectivos, che sono i mezzi pubblici locali, tipo delle carrette con quattro ruote piene gremite di gente. Si inizia a vociferare sui motivi della coda: un incidente, un pullman fuori strada, una frana. E invece no: c’è una manifestazione. E quando lo scopro già spero nello scoop, nell’esercito zapatista, nel Subcomandante Marcos in persona, in qualcosa di serio e di grosso, che faccia tutto sto casino. Già, ma quello che troviamo non sono altro che 4 contadini disarmati, ma 4 di numero per davvero, con un paio di assi chiodate in mezzo alla strada e uno striscione appeso. Intorno locals e turisti increduli. Non c’è polizia. Non c’è esercito. Pare che a nessuno freghi un cazzo e che la situazione sia abbastanza normale. Roba che i nostri allevatori incazzati per le quote latte quando bloccano la pedemontana paiono una milizia organizzata, a confronto. Penso che la cosa si risolva in fretta, dai son quattro peones, e torno fiducioso e un po’ deluso per il mancato scoop verso la nostra carretta. Francisco si riunisce con gli altri autisti presenti e decidono una strategia vincente: andare dai manifestanti e chiedere “ci fate passare a noi che portiamo i turisti?”. Geniale cazzo. La strategia non funziona. Mavvà?!? Ciao scusa possiamo passare coi nostri pullmini e i nostri turisti? Ma sai pare che questa protesta sia stata fatta proprio per bloccare l’unica strada per Palenque e quindi per rompere i coglioni ai vostri turisti, quindi avrebbe poco senso farvi passare, non credete? Quindi si passa? No! La contrattazione dura poco e il consorzio degli autisti pure. Ognuno pensa ai cazzi suoi. Ma una tangente no?!? Cazzo proprio tutto vi dobbiamo insegnare… A Francisco fregancazzo di rischiare, anche poco, a lui interessa la sua musica e saltellare sui dossi. Ci dice comunque che ci sarebbe una strada alternativa, ma es lunga e muy peligrosa. Non ci crede manco lui, però ci comunica che il tour non è rimborsabile. Si torna casa, ciao Agua Azul, ciao Palenque, oppure, propone, ci sarebbe anche un sito archeologico alternativo: Toninà. Meno famoso ma altrettanto bello, lui dice. Ok la sensazione è questa (metafora settoriale e un po’ amarcord): come quando in Valsesia in inverno ti svegli la mattina presto, guardi fuori dalla finestra fiducioso, ti scafandri come un palombaro, sbrini la macchina e parti per Alagna con tutta la voglia di farti un Monterosa Sky pazzesco ed arrivare fino a Champoluc, sciando tutto il giorno al sole su piste meravigliosamente innevate, poi arrivi ad Alagna, parcheggi lontanissimo perché è già tutto pieno, cammini come un robocop carico di speranze, arrivi alla biglietteria e scopri che, oltre ad una coda secolare, il collegamento con la Val d’Aosta è chiuso per vento. Quindi bestemmi in maiuscolo, poi giri i tacchi e per soddisfare la fotta di neve torni a Mera dove non c’è neve ed è aperta una seggiovia su tre, quindi tenti di spaccarti una gamba nello snow park, per dare un senso alla giornata. Ecco uguale ma senza neve e con tipo dieci ore di macchina in più. Ma soprattutto con la consapevolezza che l’unica occasione di vedere Palenque sia appena sfumata a causa di una micro protesta. Che va bene i diritti del popolo del Chiapas, ma anche vaffanculo però! Il Chiapas ci rivela così la sua anima riottosa ancora caliente e ne paghiamo le salate conseguenze. Ci regala una delusione grande e ci insegna che non puoi sempre avere quello che chiedi. Inutili e inermi riprendiamo i nostri posti e a colpi di dossi e curve, curve e dossi, torniamo indietro e in un paio di comode ore siamo a Toninà, che al primo impatto più che un sito archeologico pare un ranch immerso nel verde. Pare che appena appresa la notizia del blocco sulla strada per Palenque abbiano iniziato a tagliare l’erba e sistemare il sito…

image

Quantomeno non c’è nessuno e la guida che arruoliamo in loco ha un solo scopo di vita: convincerci che questo posto sia meglio di Palenque. Sì, credeghe. A parte tutto il posto è meraviglioso. Un’unica struttura aggregata ad una montagna ed abbracciata dal verde, che si percorre dal basso fino alla vetta, passando tra palazzi e templi, labirinti e scalate, fino all’osservatorio. Cost bravissima scala i più di 270 scalini per arrivare in cima e dichiara: mo a rott u cazz con ste rovine, io so fatta per stare in piano. Due ore abbondanti di visita non possono e non devono lenire la delusione, ma quantomeno servono a non rendere la giornata inutile e persa. Back on the pullmino, arriviamo in hotel che è buio. Su 14 ore di escursione ne abbiamo passate forse 4 fuori da sto cesso a pedali. Finisce così il nostro passaggio in questa terra di lotta continua, povertà estrema e natura violenta. Adesso si va al mare. Ultima tappa del nostro viaggio, pare incredibile ma ci siamo arrivati. Adesso mettiamo le tende per otto giorni. Cambia tutto, entriamo nel Messico commerciale americanizzato internazionale e tamarro. Finalmente costume. Cost euforica e impaziente. Ci vediamo a Playa.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi